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Luce e Colore a Villa Panza

  • 28/09/2021

Oggi sono stata per l’ennesima volta a Villa Panza. Ogni volta è sempre un’esperienza sensoriale unica.

Villa Menafoglio Litta Panza, più conosciuta come Villa Panza, si trova sul colle di Biumo Superiore a Varese. Questa villa settecentesca, che si affaccia su un giardino all’italiana, ospita un’ampia collezione di arte contemporanea tra le più note al mondo. La villa prende il nome dal collezionista Giuseppe Panza, che trasformò la sua abitazione in un museo di luce e colore: sono infatti più di centocinquanta le opere d’arte presenti nella villa. Nel 1996 la villa è stata donata al FAI (Fondo Ambiente Italiano).

Figlio di immobiliaristi, negli anni ’50 del secolo scorso Giuseppe Panza si appassiona all’arte americana durante un soggiorno negli Stati Uniti, dove conosce alcuni artisti di light art, una forma d’arte in cui il mezzo espressivo e il fine dell’opera è la luce.

Giuseppe Panza dedica una parte della villa alla luce e un’altra al colore. Attualmente nella parte principale della villa sono esposte tele e sculture monocromatiche di artisti tra i quali Phil Sims, Max Cole, Ford Beckman, David Simpson, Ruth Ann Fredenthal, Alfonso Fratteggiani Bianchi ed Ettore Spalletti. Nella parte delle vecchie scuderie, invece, sono presenti installazioni di arte ambientale di Dan Flavin, Robert Irwin, James Turrell e Maria Nordman. Questa parte della villa viene spesso definita “i rustici”, un termine mai accettato da Giuseppe Panza che preferiva chiamarle “stanze della luce”. In ognuna di queste stanze, infatti, è presente un’installazione di arte ambientale site-specific, ovvero creata appositamente per quell’ambiente.

L’elemento fondamentale che permea l’intero complesso, dalla villa al giardino, è il rapporto tra la luce e lo spazio.

La visita inizia con le opere degli artisti del movimento “Light and Space” di Los Angeles. L’installazione Varese Room (1976) di Maria Nordman, immergendoci nell’oscurità, ci fa comprendere il rapporto luce/buio e spazio. Da una porta si entra in uno spazio, la luce sparisce e inizia la penombra. Una seconda porta fa accedere a una stanza completamente buia, l’unica luce naturale che filtra dall’esterno è data da due sottilissime fessure. Il nostro occhio ha una capacità molto forte di adattarsi alla scarsità di luce, ma non immediatamente. Quando passiamo dalla luce al buio, inizialmente non vediamo nulla, ma se stiamo fermi nella stanza per qualche minuto la sottilissima luce che filtra dalle fessure ci aiuta a percepire il perimetro della stanza. L’assenza di luce è qualcosa a cui non siamo abituati. Quando siamo al buio la sensazione di spaesamento è massima, ma focalizzando la nostra attenzione sui pochi punti di riferimento dell’ambiente riusciamo ad acquisire sicurezza in noi stessi, fino a trovare la via d’uscita.

Un altro artista di Los Angeles che lavora con la luce naturale è Robert Irwin. Affascinato dal giardino, fa dei tagli nella parete con un’angolazione particolare, ne risultano delle finestre – Varese Portal Room (1973) e Varese Window Room (1973) – senza infissi che incorniciano il paesaggio. Sono opere work in progress, la vista cambia al variare delle stagioni e in ogni momento della giornata. Tramite il contatto tra interno ed esterno, l’artista riesce a captare la luce naturale generando percezioni particolari. Un’altra installazione di Robert Irwin è Varese Scrim (1973). Inizialmente si ha l’impressione di entrare in un corridoio. Dopo qualche istante, quello che all’apparenza sembrava un muro bianco, si rivela essere un tessuto molto fine, simile a una garza semi-trasparente, che divide in due la stanza. La percezione dello spazio anche qui è alterata, ci troviamo in uno spazio ben più ampio di quello che ci appare.

Sempre con la luce naturale sono le installazioni di un altro artista di Los Angeles, James Turrell. Sky Space I (1974) e Lunette (1974), delle aperture su un soffitto e su una parete, sono state concepite per osservare il cielo. Secondo l’artista, infatti, non siamo abituati a guardare il cielo e solo incorniciandolo siamo in grado di osservarlo e di percepirne i mutamenti di luce e colore. Anche queste sono installazioni work in progress, poiché la visione è sempre diversa, cambia in base alla stagione, al giorno e all’orario di osservazione. La visione di uno scorcio di cielo attraverso un’apertura è una modalità di relazionarsi con l’esterno a cui non siamo abituati, in quanto siamo portati a non considerarlo un elemento piatto, ma come una volta. L’impressione è quella di trovare uno spazio infinito limitato all’interno di una geometria definita.

Le successive stanze espongono, invece, le opere di Dan Flavin, appartenente al movimento minimalista di New York. L’artista nelle sue opere, studiate e realizzate appositamente per gli spazi in cui si trovano, utilizza i tubi fluorescenti di nove colori, ma fa percepire una quantità infinita di variazioni cromatiche. La relazione tra lo spazio, la luce e il colore è al centro dei lavori di Dan Flavin. In base alla posizione dell’osservatore cambia la percezione cromatica. Infatti, la luce che fuoriesce dalle stanze non è la stessa che si percepisce quando si è all’interno di una stanza. Per esempio, la luce che fuoriesce dalla prima stanza è arancione, ma entrando all’interno della stanza non è più visibile il colore arancione, ma il giallo e il rosa. Passando da una stanza all’altra c’è un corridoio che funge da spazio di pausa. Si chiama Varese Corridor (1976) ed è l’installazione più grande dell’artista. Molto colpito dalla carpineta presente nel giardino della villa, ha voluto riportare all’interno i colori della natura. Quando l’installazione è spenta si percepisce la luce di vari colori che fuoriesce dalle stanze, mentre quando è accesa il corridoio si illumina dei colori del giardino. Giuseppe Panza diceva che queste opere non necessitano di spiegazione poiché sono in grado di comunicare da sole tramite le sensazioni che sono in grado di provocare. Questo si percepisce, soprattutto, nell’opera Monument for Those Who have Been Killed in Ambush (1966) dove l’intensità e drammaticità del colore rosso riesce a comunicare il dolore vissuto dall’artista per la morte del fratello nella guerra in Vietnam. La percezione degli ambienti, una volta che ci si trova al suo interno, spesso viene alterata. In diverse opere, infatti, la disposizione dei tubi fluorescenti è in grado di modificare la percezione della forma dell’ambiente, dando per esempio l’impressione di un pavimento inclinato e in salita oppure definendo i confini di una stanza. Il rapporto tra luce, colore e spazio è quindi un tratto determinante e importante all’interno della visione artistica di Flavin, che usa questi elementi per avvolgere la persona e trasmettere sensazioni.

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