Dopo aver ascoltato, parlato e pensato per dieci giorni in american-english… rieccomi a scrivere in italiano del recente soggiorno in Italia di due amiche americane, Holly e Jessica.
Non andrò a fare un resoconto dei luoghi visitati (Milano, Lago di Como, Engadina, Varese, Firenze, Venezia, Verona), ma mi soffermerò su alcune differenze che questo scambio culturale ha fatto emergere.
Le due ragazze del Tennessee, studentesse di Farmacia, sbarcate il primo giorno nel capoluogo lombardo, si sono fatte subito l’idea che a Milano si paga tutto, anche per fare fotografie, e che sia meglio andare in giro con le mani occupate.
Appena giunte in piazza Duomo, l’aria da turista delle ragazze è stata premiata: in pochi minuti Holly si è ritrovata con un braccialetto al polso e con le mani piene di granoturco…
… e di piccioni.
Divertite dalla situazione, si sono congedate con una serie di “Thank you”, “Bye Bye”… Non è stato facile spiegare loro che anche quei tizi avrebbero ringraziato e salutato, ma solo dopo aver ricevuto qualche euro.
Uno scatto fotografico a una statua vivente è stato, invece, ricambiato con un gesto eloquente che stava per “Grazie della foto, ma ora dove vai? per favore vieni qui a mettere qualcosa nella scatoletta”.
L’approccio con il caffè italiano è stato abbastanza amaro: per bere un caffè espresso hanno impiegato più o meno il tempo che ci metterebbe un astemio a bere un bicchiere di Jack Janiel’s, il rinomato whisky del Tennessee.
A proposito di alcol, sono rimaste sbalordite di come in Italia sia tanto facile comprare gli alcolici. In effetti in Italia non c’è molta coerenza: è proibito vendere alcolici a chi a meno di sedici anni, ma nei distributori automatici (accessibili a chiunque) si trovano anche lattine di birra.
In molti stati americani, invece, ventun’anni è l’età minima per acquistare alcolici. Non meravigliamoci quindi se i ragazzi americani in vacanza in Italia, talvolta, preferiscano le sbornie ai beni culturali.
Ma, a differenza che in Italia, possono prendere la patente di guida già a sedici anni. C’è da dire però che in alcune zone degli Stati Uniti, come il Tennessee, avere l’auto è indispensabile, viste le grandi distanze tra i centri abitati.
Inoltre i mezzi pubblici, ad eccezione delle metropoli, sono poco diffusi ed efficienti come nei paesi europei e sono considerati trasporti per gente povera, così come pure i treni e, sembra un paradosso, i taxi.
Non sono certo per persone povere le università americane. Dopo aver saputo quanto costa la frequenza ai corsi quadriennali della specializzazione universitaria, posso affermare con tutta franchezza che le università italiane non sono per nulla costose e citare un paio di frasi lette in una guida a usi, costumi e tradizioni degli USA: “Molte famiglie iniziano a risparmiare per l’università prima che il figlio abbia pronunciato la prima parola”, “Molti studenti devono mantenersi agli studi lavorando, questo significa che tanti di loro si ritrovano contemporaneamente laureati e gravati da un pesante debito”.
L’argomento cucina merita un discorso a parte, a ogni modo il concetto è più o meno questo: in Italia si mangia un’insalata mista per mangiare della verdura, in America per mangiare i condimenti che l’accompagnano; in Italia si mangia un piatto di tagliatelle al ragù per mangiare della pasta, in America per mangiare il sugo di carne.
In dieci giorni di cucina italiana l’occasione di mettere insieme quello che c’era a portata di mano non è mai mancata. Ho visto condire l’insalata con il formaggio grana… olio e sale sembrava poco sostanzioso. Per assaggiare il gorgonzola ho visto prendere una fetta di pane, spalmarci il philadelphia, poi metterci una fetta di salame e sopra il gorgonzola. Ma al palato non è piaciuto. Ci credo, è come se un italiano per provare il peanut butter prendesse una fetta di pane, ci spalmasse la marmellata di lamponi, poi ci mettesse un gianduiotto e sopra il peanut butter.
Comunque, hanno apprezzato i piatti italiani e hanno imparato a fare la pizza.
Un accenno all’abbigliamento: si sono stupite che noi stendiamo i panni all’aria aperta per farli asciugare e poi li stiriamo e li pieghiamo. Loro mettono i panni nella lavasciuga e li indossano così come escono… si ricordano che esiste il ferro da stiro solo quando devono andare a qualche cerimonia.
Dopo questa esperienza aggiungo qualche parola nuova al mio vocabolario inglese, tra cui: dead end, yummy, hot mess e barn owl. Ma quali saranno le parole italiane che Holly e Jessica hanno imparato? come le pronunceranno?
Non importa avere imparato tante o poche parole, l’importante è saper dire barbagianni!