Come tutti i martedì di gennaio, la lezione universitaria di Light Art è dedicata alle revisioni dei lavori degli studenti che saranno presentati e valutati durante l’appello di esame nel mese di febbraio. Gli studenti devono svolgere, individualmente o a gruppi, un lavoro di ricerca su un artista di light art a loro scelta.
Il sedicesimo gruppo che si presenta alla cattedra per la revisione è formato da due studentesse cinesi.
La conversazione prende il via grazie alla protezione gommosa rosa fluorescente sulla tastiera del loro MacBook. “Che bella! La voglio pure io! Dove posso comprarla?” chiede la professoressa. Una delle due studentesse fa intendere di non avere un filo di voce e si gira verso l’altra, la quale dice che su Internet si trovano di diversi colori a pochi euro. “Benissimo, allora mi sa che ne prenderò una rosa anch’io!” conclude la professoressa.
Le due ragazze aprono quindi la presentazione per mostrare il lavoro svolto. La prima slide contiene il titolo, ovvero il nome dell’artista che hanno scelto per la loro ricerca. Quando appare la seconda slide, l’assistente non riesce a trattenere una lieve risata che contagia la professoressa: “Sembra un ricercato!”. E così anche le due studentesse si uniscono alla risata.
Terminato il momento di ilarità, si prosegue leggendo il testo che compare nella slide, che corrisponde all’indice della ricerca: 1) Il prospetto di artista. 2) Orario. 3) Porcelain light. 4) Werdetto. È evidente che sono termini tradotti dal cinese all’italiano con Google Translate, ma cosa vorrà mai dire Werdetto? La professoressa chiede spiegazioni alle due studentesse, dal momento che qui non c’è nulla su cui pronunciare un verdetto. La ragazza afona cerca invano di dire qualcosa, l’altra fa un cenno con la testa poi prende il telefono e digita alcuni caratteri. Mostra la schermata di Google Translate con la traduzione in inglese e la professoressa esclama: “Conclusion! Conclusione!”.
Si prosegue quindi con la terza slide che contiene alcune note biografiche dell’artista. E qui la presentazione termina. La professoressa chiede: “Tutto qui quello che avete fatto?”. L’assistente prosegue: “E le slide della volta scorsa?”.
Da questo momento in poi la conversazione si fa più complicata.
La ragazza senza voce cerca di dire qualcosa, ma la voce è talmente bassa che la professoressa le porge in mano il microfono dicendo: “Così magari sentiamo meglio”. La ragazza viene colta da un leggero imbarazzo, ma prova comunque a dire qualcosa con il microfono. L’assistente, vedendo l’estrema difficoltà della ragazza a parlare, si rivolge all’altra studentessa, la quale formula una frase con un mix di parole italiane-cinesi-inglesi. Se “werdetto” sta per conclusione, figuriamoci se mettessimo in Google Translate questa serie di parole cosa potrebbe uscire!
La professoressa chiede agli studenti presenti in aula di fare gentilmente silenzio e si rivolge nuovamente alla ragazza priva di voce: “Riprova con il microfono, magari adesso sentiamo qualcosa”. L’assistente capisce che per questa ragazza è quasi una tortura parlare senza voce con il microfono e con degli studenti alle spalle in assoluto silenzio. Appoggia quindi il microfono e cerca di leggere il labiale. Ma anche questo tentativo fallisce miseramente, dato che la ragazza cinese è praticamente ventriloqua.
La professoressa è quasi disperata: la ragazza che parla abbastanza bene inglese è completamente afona, l’altra preferisce esprimersi a modo suo in un italiano non comprensibile da italiani. L’ultima risorsa che le rimane è chiamare uno studente cinese che possa fare da interprete.
La professoressa lo accoglie alla cattedra con “Menomale che ci sei tu!”. Lui ricambia con un grande sorriso. “Puoi chiedere loro se hanno contattato l’artista?” è la prima domanda da tradurre per il ragazzo cinese. L’interprete riferisce subito la risposta delle due ragazze: “No”. “Perché non gli avete scritto?” risponde la professoressa. A questo punto, mentre la ragazza priva di voce fa segno con la testa di averlo contattato, l’altra mostra la schermata del telefono dove c’è uno screenshot in cui si può leggere il messaggio che hanno inviato all’artista tramite Messenger. La professoressa chiede: “Ma allora si può sapere se siete riusciti a parlare con l’artista?” Il ragazzo traduce: “Sì”. “E l’artista cosa vi ha risposto?” replica la professoressa. I tre cinesi si guardano, si parlano e dopo dieci minuti di “Sì”, “No”, “Messenger” ecc. la professoressa e l’assistente intuiscono che hanno contattato l’artista, ma forse lui non ha ricevuto il messaggio (o non ha risposto).
L’assistente si rivolge quindi alla professoressa: “Mi sa che bisogna sentire l’artista. Ora lo chiamo.” Ma in quel momento il telefono dell’artista è occupato.
“Scusa, puoi spostarti un attimo che devo fare una foto a loro due?” chiede l’assistente allo studente cinese. Lui annuisce con la testa, ma rimane lì a parlare con le due ragazze. Il ragazzo cinese è così attento ad ascoltare le due compagne di corso che anche la seconda e la terza richiesta da parte della professoressa di spostarsi vengono ignorate. La professoressa allora si alza, si avvicina al ragazzo e lo sposta un metro più a destra.
L’assistente scatta finalmente la foto alle due studentesse e le congeda dicendo: “Ora l’artista è occupato, più tardi lo richiamo e vi metto in contatto con lui, non preoccupatevi.”
Terminata la lezione, l’assistente riceve dalla ragazza con la voce una serie di immagini di protezioni per tastiera in vendita su alcuni siti cinesi.
Poi telefona all’artista per capire cos’è accaduto e lui racconta: “Mi hanno scritto su Messenger, chiedendomi di dargli l’amicizia. Ma chi sono? I loro nomi sono scritti con i caratteri cinesi, non si capisce niente, come foto del profilo hanno dei personaggi dei cartoni animati… Mi hanno detto che devono scrivere un libro e che vogliono venire a intervistarmi.” L’assistente precisa: “Devono fare un approfondimento su una tua installazione. Possono intervistarti anche via Skype…”
L’assistente informa quindi le studentesse che l’artista è disponibile per un’intervista via Skype. La ragazza priva di voce risponde subito alla mail ringraziando molto per l’aiuto ricevuto.
All’assistente non rimane che inviare all’artista la foto delle studentesse scattata in aula, aggiungendo nella didascalia i loro nomi in caratteri latini.
Non appena riceve la foto, l’artista esclama: “Fantastica!”
Sì, fantastica, ma ora tocca a lui cercare di capire le domande delle studentesse, sperare che alla ragazza che parla inglese torni al più presto la voce e che capiscano i dettagli tecnici della sua installazione… il tutto tramite Skype.
Ci vediamo all’esame.
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